Memorie di una telesiana – di Carla Monteforte (da il Garantista 19-06-2014)

 

I miei esami di Stato me li ricordo come i giorni più gioiosi della mia vita. Non mi ero preparata nemmeno un tema. Ero troppo pigra anche solo per pensare di dover allestire una cartucciera: molto meno faticoso studiare e contare sulle mie forze. Del resto, di forze ne avevo da vendere.

La mia classe era una classe di poveracci, per i canoni del “Telesio” di allora, nei cui esclusivissimi corridoi passavano prima i cognomi e poi gli esseri umani che li indossavano, abbinati a borse Burberry, kefiah e Smemoranda. In quel regno dei patronimici noi eravamo felicemente nessuno. Questo, tuttavia, era un vantaggio poiché abbatteva le aspettative e, di conseguenza, competizione e ansia da prestazione.

Era il 1995 ed il mondo iniziava a piazza Kennedy e finiva a Carnaby Street, il regalo di promozione più gettonato dai maturandi. Il pomeriggio con Eschilo ad Eleusi e poi la sera con zio Pietro al bar Mazzini. Nella più totale incoscienza gettavamo le fondamenta per un futuro di umanesimo rivenduto a rigaggio i cui risultati avrebbero consolidato la nostra lunga e brillante carriera nei baretti.

Dopo qualche ora sui libri, ed un toto-traccia al telefono (fisso), si montava in sella al motorino. C’era ancora la miscela e c’era ancora piazza Fera. Lì, io ed il resto della mia girl-band, cercavamo riscatto alle fatiche pomeridiane, e a cinque anni di liceo da freaks (l’esatto opposto delle ragazze popolari), tentando di essere notate da una banda di tipacci al contrario nostro piuttosto popolari (tra le forze dell’ordine). Un solo sguardo e le nostre Emmanuel Schvili mutavano in top di pelle nera: e noi in Olivia Newton-John in Grease. Solo che invece del frullato correvamo a strafarci di Coca-Cola e a sedare i nostri embrionali istinti da api regina in pacchi di Highlander al ketchup.

Nessuna di noi aveva la minima idea di cosa volesse fare nella vita, solo una cosa c’era chiara: volevamo farlo a Bologna. Non c’avevamo mai messo nemmeno piede ma allora andava di moda così. Alla fine, ovviamente, andammo tutte altrove.

Nell’aria c’era una strana energia. Quell’energia che s’avverte durante i cambiamenti epocali. Quella era davvero la fine di un’era: al Telesio stava per andare in onda l’ultima puntata della terza H e su Canale 5 l’ultima di “Non è la Rai”.

I miei compagni finirono le prove venerdì. Io rimasi l’ultima da interrogare, il lunedì. Quel weekend di distacco tra la mia seduta e la loro generò in me un certo senso di solitudine, una percezione di diversità, retaggio di chi fa “primina”, che mi sarei portata dietro tutta la vita. Tollerai quel senso di inadeguatezza grazie ai Jefferson Airplane. Arrivai in classe agguerrita nei miei Dr Martens dieci buchi. Una ventina di minuti ed il diploma era mio. Per la maturità, invece, chissà quanto resta ancora da attendere.