Cutro, vite di mezzo


Iraq, Afghanistan, Siria: paesi per i quali non si accendono ceri in Chiesa la domenica quando si va a pregare per la pace inviando carichi di armi. E valigie di denari a dittatori/amici perché facciano il lavoro sporco al posto nostro. O del Mare Nostrum.

Quelle vite ingoiate dal nostro mare, e da una politica criminale, raccontano molto anche di noi. Quei corpi finiti parlano della nostra indifferenza o misericordia selettiva.

Io vengo da lì, da quell’anfratto di mondo dove si sono schiantate quelle esistenze. Un luogo che per natura è di passaggio: tanti fuggono, altri sbarcano. Chi arriva quasi mai lo fa con l’intenzione di restare. La Calabria del Mediterraneo è più uno snodo.

Da calabrese, mi sento prima mediterranea e poi europea. Non so spiegare, è un sentimento che scorre nel sangue. Quella Terra di mezzo mi definisce più di mille trattati. 

Sono nata in un approdo. Quel mare travestito da lido è in realtà da sempre strada di naviganti. 

Le mie coste hanno visto miti, leggende, eroi. Più semplicemente marinai o naufraghi in cerca di tesori e ricompense. 

Questo è il Mediterraneo, da sempre. 

La prima volta che sono stata in Tunisia è stata illuminante: mi è sembrato di guardarmi allo specchio. Eliminati i veli, io e quelle donne eravamo identiche. Una sensazione allucinante e al tempo stesso rivelatrice (mai provata a Parigi o Londra). Quell’impressione mi ha raccontato di me e del luogo da cui vengo. Mi ha raccontato di quanto i confini siano innaturali. Contro natura come chi pretende di alzare steccati in una terra creata per essere un passaggio. 

Come noi che troppo spesso dimentichiamo chi siamo. 

Se esiste un Dio, che almeno lui accolga quelle vite. E ci perdoni.