Dolcenera, Annalisa, Belen. È il festival delle schiaffo

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La quarta puntata di Sanremo è stata figa come una festa in cui tutti sono ubriachi mentre tu non puoi farti manco uno shottino perché hai iniziato la dieta. Resti perché è un impegno preso ma nel mentre sogni di fare un bagno in una vasca di Campari, come Morgan. O come Belen che, dopo l’apparizione di Virginia Raffaele (e del suo stacco di coscia) ha provato ad affogare la bile nella schiuma. E, fallito il tentativo, ha optato per la superiorità postando un frame delle tube di falloppio della copia, con complimenti annessi. Un grande schiaffo morale!

E non è stato l’unico, perché lo schiaffo è il vero trionfatore della 66esima edizione del festival. Un sempreverde dell’hairstyle sanremese, adottato di sera in sera da tutte le concorrenti: da Noemi ad Irene Fornaciari passando per Annalisa e Dolcenera che, per essere più extreme ’80, ha dormito pure con schiuma e inventaricci, facendosi svegliare un secondo prima di sedersi al piano, ancora in stato catatonico. Beata lei.

Non è successo proprio niente in questo venerdì rubato alla vita sociale ed investito in quella social. Non una gaffe, non un precario che tenta il suicidio, manco uno straccio di allarme-bomba. Niente di niente. Neppure un pederasta con utero in affitto imbarcatosi dalla moderna Bretagna per minacciare la famiglia tricolore. Tanto che ad un certo punto qualcuno degli autori, temendo il calo di ascolti, ha pensato di rivolgersi al pubblico di Buona Domenica annunciando come super ospiti i due Marò. O qualcosa del genere. Ma i due soldati hanno chiuso la busta perché di italiani fuori concorso ce n’erano già troppi.

Superstar della semifinale una padana: Elisa. E la notizia non è che dal suo ultimo shampoo saranno passati non più di quattro giorni ma che, se a finire nel ruolo che fu di Madonna, Bowie e Simon Le Bon, ce l’ha fatta una senza smalto allora ce la possiamo fare tutte. Anche Debora Iurato in H&M. Sebbene tutto questo orgoglio patriottico sia contro tutte le regole del festival della canzone italiana, caro Conti.

Nato negli anni Cinquanta, quando gli italiani, usciti da due guerre, sognavano l’America di cui Elvis divenne incarnazione e dalle cui costole nacquero Bobby Solo e Little Tony, Sanremo l’esterofilia ce l’ha proprio nel dna. Come noi. Per cui, signor direttore artistico, l’anno prossimo si ricordi di investire due spicci in una bella boyband da crisi isterica. Perché senza, non possiamo sognare una terra promessa e nemmeno un mondo diverso.