Il Sanremo delle quote rosa Chemical

E alla fine ce l’ha fatta, il gender! Atteso da fratelli e sorelle d’Italia ha infine vinto il festival di Sanremo.
Il festival di Instagram, spazzato via da un tik tok. Per OnlyFans tocca attendere che Giovanna smetta di ridersela in prima fila: bullizzata da Chiara, vendicata dalle quote Rosa Chemical. Da ieri ha un nuovo follower: Tiziano Ferro ha iniziato a seguirti.

La modernità è più antica di un profilo di coppia, trapassato remoto come le stories. Perché quindici secondi durano più di una maratona finale per chi scalcia per prendersi il suo tempo. Quando faranno i conti a casa, i Ferragnez, dovranno calcolare pure questo: Sanremo è il fiume di Eraclito, non puoi mai tuffartici due volte. È così lungo che il martedi entri progredito e sabato t’informi se c’è posto all’ospizio mentre Gino Paoli e Ornella Vanoni se la ridono. Perché, in questa televendita di highlander, gli unici a non invecchiare sono gli immortali. Mentre noi da casa non sappiamo più se siamo vivi o Mengoni è solo un sintomo di premorte.

Nel festival dei monologhi, sul podio tutti maschi: pare di stare in dark room. Mentre dal fronte la missiva di Zelensky arriva in after. Quando al Plastic hanno già passato la discografia integrale di Paola e Chiara e Mara ha già bloccato Achille Lauro su whatsapp. C’est la vie!

Sanremo dà, Sanremo toglie. Tra uteri, capezzoli, meme, limoni, tutto cambia perché non cambi niente. Masochismo Made in Italy: un’autoflagellazione che da frammenti ci ricompone in massa. Da due passiamo a tre, più siamo e meglio è.

Sanremo, il venerdì santo dei reietti

Sanremo è lo specchio del Paese. E noi siamo Grignani e Arisa: la resistenza. La musica è finita ma noi no. Siamo la Oxa, una tempesta di fulmini in un cielo di cartapesta. Il nostro malessere è così reale, che in un mondo di sindromi precotte, passa inosservato in Parlamento dove fanno un casino per l’ideologia del gender e poi non scrivono un ddl per bloccare Paola e Chiara.

No, ora non fermarci più, Ama. Siamo ai bordi di periferia assieme ad Ultimo e al boato di San Basilio facciamo eco da Prati. Dove il massimo che ti capita è Leo Gassmann in corsetta come ieri intorno a Bennato. «Svegliaaaa» lo diciamo noi a chiunque ci vorrebbe riparati. Siamo la signora col vestitino fucsia che twerka in loggione perché di questa crociera per divorziati, che è il festival, siamo le cubiste.

Non è mai troppo tardi per tornare in discoteca, ci insegna il venerdì santo della Rai mentre ci tiene incatenati al teleschermo invece di uscire a farci tre gin tonic. La discoteca tanto ce l’abbiamo in testa. È un labirinto, avevano ragione i Subsonica, grandi assenti del revival di fine Novecento.
In effetti un revival di tutto, un jukebox dove metti un gettone e ti parte Tranqi funky ed in un beat non sei più sul divano ma in una sala giochi di Camigliatello silano. Finché la macchina del tempo non ti scaraventa in una serata gay clandestina di inizi 2000 a ballare un lento con Giorgia, Elisa e la signora del guardaroba.

Siamo vecchi, disperati, imbarazzanti: liberaci, Ama. A notte fonda però, come alla Francini. Perché noi zitelle, non riprodotte, madri di tutte le drag queen, prima dell’una stiamo al bar a bere con Grignani.
E allora sai che c’è?
Il preserata lo lasciamo volentieri alle Ferragni.

Sanremo, è la volta dei complottisti

Terzo atto. Il centro di recupero a direzione sanitaria Ama inizia a dare segni di squilibrio. Non in puntata che è una strazio, ma nel backstage si parla di bestemmie, risse. Tornano in gara anche complottismo e no vax. Che sogno! Per un momento siamo di nuovo in pieno lockdown. Ed in effetti in quarantena ci siamo.

Le smentite si rincorrono veloci ma poi, a sipario abbassato, la foto definitiva: all’Ariston sono arrivati i cani antidroga. Solo che forse avrebbero dovuti inviarli nelle nostre case in cui siamo chiusi a tripla mandata nella speranza che Giovanna, al terzo giorno di profilo solista, prenda dai capelli qualcuna. Questo è il catfight che vogliamo!

Per il resto, in tema di allucinogeni, siamo già cosi strafatti di festival che ci piace la canzone dei Cugini di Campagna. Non lasciarci soli, Amedeo, siamo fuori controllo. Altro che Grignani e Oxa.

Comunque vada, la rivelazione di Sanremo23, non è certo l’Instagram da record del presentatore (più di 1 milione di followers in 48 ore), ma Oxarte, la società segreta che gestisce carriera e social dell’artista. Roba da far impallidire WikiLeaks. Ed in effetti scopriamo che tra i sostenitori della cantante, oltre a Svizzera, Malta, Serbia, Stati Uniti, Francia, «Italia (che ha votato)», Albania – e ovviamente noi – ci sono i «Sostenitori di Assange». Il mistero s’infittisce: grazie di esistere, Anna.

Se puoi scopri pure come mai tutte e tutti restino in silenzio innanzi alla ferocia dei monologhi. Un contrappasso imposto alle ragazze (non attrici, non scrittrici, non autrici) invitate sul palco, spacciato per opportunità. Ieri è stato il turno della campionessa di volley Paola Egonu della quale, dopo ore di presenza al nostro Superbowl, conosciamo in più solo l’altezza. Il resto è stato tortura. Calata, a 24 anni, tra le fiere del Colosseo a rassicurare i connazionali del suo amor di patria.

Il mondo va al contrario, come la classifica. Del resto nel Sanremo del disagio, i disadattati veri siamo noi che lo guardiamo.

Sanremo e Santa Chiara, una e trina


Vorrei scrivere anch’io una lettera alla bambina che ero per dirle: «Smetti di guardare Sanremo finché sei in tempo perché arriverà il giorno in cui Anna Oxa si classificherà ultima». Mentre tutta l’Italia s’indignerà per un ragazzetto che prende a calci i fiori dell’Ariston credendosi Brian Molko. Nella saga della retorica accade anche questo mentre siamo preda di questa enorme allucinazione di massa in cui tutto si può, perché tutto è già stato fatto (eccetto spedire l’incarnazione stessa del festivàl in fondo a tutti perché il quarto potere urla vendetta).

Nel festival dell’inclusione e degli spiegoni in cui si entra lanciando un messaggio e accaparrandosi un disagio disponibile, si emargina poi chi un disagio ce l’ha reale: sentirsi comoda in questo calderone di selfie, meme, like, lezioncine, paternali. Una volta si ribatteva a chi era troppo superiore per stare sul divano assieme a noi che Sanremo non è musica, è televisione. Adesso è ufficialmente Instagram.

La protettrice delle influencer è beata non solo perché caritatevole (ha il merito di aver devoluto il proprio compenso alle donne vittime di violenza) ma soprattutto per il dono dell’ubiquità: si palesa contemporaneamente nelle stories e nel teleschermo. E chi guarda non sa più se è spettatore o follower. Chi dissente, invece, è immediatamente hater e ditemi se questo non è un miracolo?
Chiara Ferragni da Cremona che si manifesterà nuovamente nell’ultimo atto della parabola, che per comodità chiameremo direttamente morale, ha però un’ultima prova da affrontare prima della canonizzazione: il martirio. Dopo aver creato il profilo autonomo di Amadeus, altro che ira di Zeus, dovrà vedersela con Giovanna.

Sanremo, belve alla riscossa per Paola e Chiara

Hanno aperto le gabbie, e siamo usciti: le belve. Sodomiti attempati e redivive perpetue che da due decenni attendevamo Paola e Chiara. Ci perdoni Francesca Fagnani, recente icona queer, ma nella vita esistono delle gerarchie.

Un Sanremo da riavvolgere al contrario come un disco satanico (avvisate l’onorevole Morgante) quello del secondo atto, in cui una comunità di reduci (di Muccassassina e Plastic) ha rivendicato il proprio diritto di fare ancora Furore. E così sia: vamos a bailar esta vida nueva alla faccia di chi ci vorrebbe a dibattere di Rosa Chemical. Grazie, abbiamo già dato.

Povero Libero, oggi sì che avrebbe potuto titolare “Omosessuali alla riscossa”, peccato si sia bruciato il claim al Primo maggio per Zan e Fedez, spedito ieri in crociera per non alimentare sospetti di monopolio. La notizia è che il marito di Chiara Ferragni ha eseguito il suo monologo durante un down social.

La navigazione di Ama è andata avanti invece liscia, senza mareggiate. La festa dell’equipaggio ha avuto il momento più trasgressive con i Black Eyed Peas che hanno visto una Ventura scatenata in platea in rappresentanza, essendo il festivàl dell’inclusione, di tutte le zie ai diciottesimi di nipoti che vorrebbero sotterrarsi. Quelle zie siamo noi.

E adesso passiamo alla parte ostica: i monologhi rosa. Quelli inventati da Ama per giustificare il termine co-conduttrici invece di valletta che in tempi di nuovi linguaggi non si può più usare. E che al pubblico non è dato attaccare sennò sei misogina o, peggio, invidiosa. Manco alle medie.
I compromessi della guerra al patriarcato: può prenderne parte chi la capitalizza ma guai a dire che un intervento resti un intervento (un compitino) e con la conduzione non c’entri proprio nulla.

La Fagnani non ha certo bisogno di adulazioni, si piace già tantissimo. Per cui ci esonereremo dallo sviscerare il suo scritto perché già dalla lettura dei nomi dei concorrenti in gara sul cartoncino era chiaro che sul palco dell’Ariston ci fosse capitata una professionista.

Il tetto di cristallo invece resta là, in questa notte di sole. Furore Furore.