Sanremo, il venerdì santo dei reietti

Sanremo è lo specchio del Paese. E noi siamo Grignani e Arisa: la resistenza. La musica è finita ma noi no. Siamo la Oxa, una tempesta di fulmini in un cielo di cartapesta. Il nostro malessere è così reale, che in un mondo di sindromi precotte, passa inosservato in Parlamento dove fanno un casino per l’ideologia del gender e poi non scrivono un ddl per bloccare Paola e Chiara.

No, ora non fermarci più, Ama. Siamo ai bordi di periferia assieme ad Ultimo e al boato di San Basilio facciamo eco da Prati. Dove il massimo che ti capita è Leo Gassmann in corsetta come ieri intorno a Bennato. «Svegliaaaa» lo diciamo noi a chiunque ci vorrebbe riparati. Siamo la signora col vestitino fucsia che twerka in loggione perché di questa crociera per divorziati, che è il festival, siamo le cubiste.

Non è mai troppo tardi per tornare in discoteca, ci insegna il venerdì santo della Rai mentre ci tiene incatenati al teleschermo invece di uscire a farci tre gin tonic. La discoteca tanto ce l’abbiamo in testa. È un labirinto, avevano ragione i Subsonica, grandi assenti del revival di fine Novecento.
In effetti un revival di tutto, un jukebox dove metti un gettone e ti parte Tranqi funky ed in un beat non sei più sul divano ma in una sala giochi di Camigliatello silano. Finché la macchina del tempo non ti scaraventa in una serata gay clandestina di inizi 2000 a ballare un lento con Giorgia, Elisa e la signora del guardaroba.

Siamo vecchi, disperati, imbarazzanti: liberaci, Ama. A notte fonda però, come alla Francini. Perché noi zitelle, non riprodotte, madri di tutte le drag queen, prima dell’una stiamo al bar a bere con Grignani.
E allora sai che c’è?
Il preserata lo lasciamo volentieri alle Ferragni.