La notte della neve

Amo spiare la notte impossessarsi di Roma come un master che immobilizza la preda per infliggerle ore di torture e godimento. Che poi sono la stessa cosa.

Quando il buio cade sulla vecchia matrona la gente perbene cerca riparo nelle proprie tane mentre dai tombini come i ratti usciamo noi.

Quanta inquietudine sotto uno stesso cielo. Quanta inquietudine sulle sponde del Tevere che incurante scorre senza sosta assieme alla vodka e alle illusioni che ogni minuto si frantumano come calici da vino di Ikea.

La notte e Roma sono sadiche e imprevedibili come i pacchi di un programma per pensionati e casalinghe in cui chi se ne va sconfitto ha come premio di consolazione anche sensi di colpa a pacchi. Perché la fortuna, così come la colpa, non avviene mai a caso. In quelle scatole strette in mano da ignoti d’ogni dove puoi trovarci di tutto mentre saltelli tra il bancone ed il bagno stringendo tra le dita l’ultima sigaretta ed un bigliettino col tuo numero da ficcare nelle tasche del buttafuori così gentile da non averti ancora sbattuto fuori a calci.

Ma è quando tutti i segni divini e le congiunzioni metereologiche e astrali suggeriscono prudenza, di restare in casa chiuse a molteplici mandate, che bisogna cogliere la sfida e lanciarsi nella brughiera in cerca di un Heathcliff o semplicemente di tempesta.

Una notte, tra i tanti sconosciuti che attraversano la capitale e la mia vita senza lasciare traccia, arrivò la neve. Visitatrice esotica e annunciata ma non per questo meno prodigiosa o sorprendente.

Assieme alla neve arrivò lui, l’uomo della neve. Un forestiero dai lunghi capelli portato dalla bufera. Un brivido caldo levatosi dai sanpietrini ibernati.

Uno sguardo ed ero sua, sciolta come un ghiacciolo che annega in una Jacuzzi. D’un tratto tutti gli Harmony rubati dai cassetti di mia madre erano lì, materializzati in carne, ossa e vodka tonic, nel cuore di una Trastevere polare. Nel cuore di una Trastevere bollente.

Ecco perché amo le intemperie, la pioggia, il vento, i tombini intasati, la grandine, perché fanno pulizia di tutta la gente inutile – imbottitura sociale, figuranti – lasciando spazio a noi: i peggio. E facendo posto ai marinai di passaggio. Quelli che ti seducono e poi si dissolvono come neve a Roma.

Nulla è eterno nella città eterna. Nemmeno un respiro che sembra infinito ed invece è solo un fermo immagine di un regista annoiato che fa prove tecniche coi tuoi polmoni.

Del resto cosa ci si può aspettare da un luogo in cui la storia è già stata scritta tutta? Un capitolo nuovo? Non certo una morale. Perché chi è in cerca di morale non scende certo a Termini.

E col fiato ancora sospeso, inebriata di desiderio e Beluga, mi ritrovo ancora una volta sola a proseguire il mio cammino verso l’ignoto per i vicoli ghiacciati, mentre Ponte Sisto mi guarda incredulo ed un magrebino insegue la mia ombra giurando amore eterno.

Eterno come una promessa nella città più bugiarda del pianeta.

Carla Monteforte