Domenica di passione – my fucking quarantine diary part II

Domenica è un giorno sacro: è il giorno dedicato all’hangover. E la riflessione di oggi, per quanto mi riguarda, potrebbe benissimo concludersi qui. Andrò avanti mossa solo dalla necessità di spendere in qualche modo questo tempo rubato alla mia vita.

La domenica è il giorno in cui noi fenici risorgiamo dai nostri incendi. Mi manca godermi i miei sudati mal di testa, galleggiare beatamente nei sensi colpa, frugare tra le rovine del mio cervello alla ricerca di indizi sul delitto della sera precedente. Ho nostalgia dei blackout, di quel conflitto eterno tra memoria e oblio. 

In città volano droni, dicono. Nel pianeta dei dimenticati, dove sono io, di nuovo le tortore. Le scruto dalla finestra, ormai non esco più nemmeno in giardino. Lascio che la natura si goda indisturbata la sua breve festa. Nonostante i presagi, non mi convinco che la razza umana sia prossima all’estinzione. Non oso immaginare la delusione delle povere belve quando ci vedranno uscire nuovamente dalle gabbie. 

Il mondo prende fiato, intanto. E cosi il mio corpo. Ma non mi sento per niente felice.

Finirò di scontare la pena accompagnandomi ad un alleato insolito: il vino rosso. L’ho scelto perché non ne bevo mai. Volevo accanto a me qualcosa che avrei abbandonato senza drammi. Come si sceglie un amante d’estate, senza promesse. So che questi giorni avranno per sempre il sapore del nettare tanto atteso della sera e qualcosa mi dice che non vorrò rievocarli.

Quando sono in viaggio sono solita ordinare Margarita: non ci sono ragioni romantiche, è un cocktail difficile da sbagliare. Se penso al mondo là fuori sento il sale sulle labbra che si fonde all’aspro del limone e ho voglia di tuffarmi in un oceano di tequila e nuotare fino a NYC per farmi un happy hour al Village. Una delle prime persone che si è premurato di avere mie notizie quando in Italia è esplosa l’emergenza è stato il buttafuori dell’Hangar, un afroamericano di Brooklyn, sulla cinquantina, omosessuale, con cui ho condiviso un’indimenticabile mezz’ora della mia vita. 

Se esco viva da qui il primo cocktail sarà alla tua salute, Devon!

Intanto la giornata scorre lenta e la tv fa da sottofondo a questo tempo informe. Non ci faccio quasi più caso ormai: morti, canzoni, farmaci miracolosi.

Tutto avrei immaginato nella vita mia eccetto mi sarei trovata a pregare per un vaccino, eppure di preghiere assurde ne ho rivolte a migliaia a questo Dio. Credo m’abbia bloccato su tutti i social.

Giorni fa ho visto Almodovar battere le mani dal suo balcone di Madrid. Mi è sembrato così solo, per la prima volta l’ho visto anziano. A vent’anni, tornando alle preghiere indecenti, supplicavo Dio affinché me lo facesse conoscere. Ero certa si sarebbe innamorato di me, lo sono tuttora. 

Vorrei abbracciarlo.

Ho appena avuto un pensiero da stalker (evviva, sono ancora viva!): se fossi a Madrid, dove l’ho cercato disperatamente, violerei la quarantena per recarmi sotto casa sua. Ora so dov’è! Farei la pazza come Banderas in “Legami” pur di fargli sentire: “Te quiero, Pedro”. E questo assurdo film terminerebbe con una folle corsa su un’auto rubata e noi due che cantiamo a squarciagola “Resistiré” (che non a caso è diventata l’inno della quarantena española)

Quando tutto sarà finito (tamponi nel trolley) tornerò, Madrid!  Madrid mia, querida Madrid, che sempre m’hai donato vita, vederti così piegata es una herida en el alma. Tu alma es mi alma, Madrid. Resisti!

Torneremo a santificare le domeniche trascinandoci come zombie nel Rastro alla ricerca di cose tanto inutili da farci sentire indispensabili. A perderci in labirinti di passione e lasciarci dominare dalla legge del desiderio. 

Dobbiamo solo aver fede e nelle coctelere torneranno soda y vermùt. Ed il giorno dopo la testa farà così male che sapremo che Dio c’è. 

Perché la resaca è solo un altro segno del Signore per ricordarci che siamo vivi. 

Resistiré- Dùo Dinàmico (scena finale di “Legami” di Pedro Almodovar)